Graziano Vallisneri

I Vallisneri:
da Veltro ai nostri giorni

appunti per una ricerca di famiglia

Parma, 1996


  1. Ritorno alle Origini
  2. Principio della Casa
  3. La Valle dei Cavalieri
  4. Discendenza dei Nobili Vallisneri
  5. Notizie della Vita di Antonio Vallisneri Senior
  6. I Discendenti di Antonio Vallisneri
  7. Il Bisnonno Alcide Vallisneri
  8. La Storia dei Vallisneri Continua
  9. Bibliografia
Questa ricerca si propone di continuare il libro dei "Fondamenti della nostra casa Vallisneri nuovamente gittati" da Antonio Vallisneri nel 1699.


1 - Ritorno alle origini

Fin dal primo giorno di scuola i Professori non riuscivano a pronunciare correttamente il mio cognome; lo stesso poi mi è sempre successo negli uffici, nei negozi e soprattutto per telefono. Invece di "Vallisneri" interpretano Ballestrieri, Vallis e, staccato, Neri o altre storpiature varie. Negli ultimi due anni in cui mi sono trovato a lavorare a Reggio Emilia nessuno ha più sbagliato il mio cognome, perché lì c’è Piazza Antonio Vallisneri, c’è l’Archivio Vallisneri, la Basilica Madonna della Ghiara ha l’Eredità Vallisneri, in montagna c’è la frazione Vallisnera. A Reggio mi sono sentito a casa, o meglio, a casa dei miei vecchi, avi, antenati.

Già sapevo che la nostra è una famiglia di nobili: nello "Elenco storico della nobiltà italiana" sono iscritti mio padre, i suoi fratelli e sorelle, il nonno Ferdinando; fanno parte di una linea secondogenita discendente dal ramo di Scandiano. Di più, tuttavia, non sapevo. Ho pensato allora di risalire alle origini, di verificare tutti i passaggi, di salire di padre in figlio.

Come in una caccia al tesoro, sono partito dall’Ufficio di stato civile del comune di Reggio per vedere la scheda anagrafica del Capitano Vallisneri Ferdinando, poi dalla parrocchia di S. Polo d’Enza ove ho trovato il suo certificato di battesimo e le notizie del bisnonno Alcide, medico condotto, al cimitero monumentale di Reggio, quindi nella parrocchia di Scandiano ed ancora all’Archivio di Stato di Reggio, al Battistero, alla Madonna della Ghiara, alla biblioteca comunale.

Fortunatamente poi ho incontrato un sacerdote, Don Guido Agosti, appassionato cultore e scrittore della vita e delle opere di Antonio Vallisneri, che mi ha fornito utili indicazioni per continuare il mio percorso.

E’ stato così che presso l’Archivio di Stato ho rintracciato un inedito volume manoscritto autografo di Antonio Vallisneri (in carta pergamenata con copertura in pelle) dal titolo "Fondamenti della nostra casa Vallisneri nuovamente gettati da me Antonio Domenico, filosofo e medico, 1699" che gli Eredi avrebbero dovuto tenere segreto, come di fatto è avvenuto per oltre due secoli perché così raccomandato dall’Autore nella 1° pagina "Queste memorie non devono partirsi mai dalle mani dei miei Eredi, o di chi col tempo goderà l’eredità Vallisnera, pregandoli col cuor sulla penna a conservarle segrete, servirsene a loro bisogni per utilissime cognizioni e mantenerle dalle ingiurie del tempo e dalla rabbia non mai moribonda degli emuli, anzi sempreppiù accrescerle non perdonando alla penna, come pur troppo con vergognoso rossore hanno fatto gli oziosissimi miei vecchi. Così appoco si accrescerà il lustro della Casa e si stabilirà sodamente con gloria".

Il volume risulta essere stato portato temporaneamente all’Archivio dal Cav. Giovan Battista Vallisneri e dal Cav. Cap. Ferdinando con onere di restituzione ad ogni loro richiesta.

Anche se sono passati oltre 80 anni dalla consegna e il manoscritto risulta aggiornato ai primi del 1800, ho pensato cosa utile farlo conoscere almeno a tutti i Vallisneri con cui sono in contatto, cercando di colmare il vuoto di oltre due secoli con le notizie che sono riuscito a raccogliere.

Penso infatti che conoscere le proprie origini e la vita dei nostri "maiores" sia di qualche utilità, sia per farci sentire più radicati nella storia del nostro paese, sia per riscontrare alcune caratteristiche familiari che almeno nella tradizione orale venivano addebitate ai Vallisneri: la genialità, la fantasia, la generosità, la grandezza d’animo... volendo evidenziare solo gli aspetti positivi.

L’auspicio è quindi che i cugini, parenti, nipoti possano approfondire la ricerca e aggiungere di proprio le notizie più importanti sulla loro famiglia corrispondendo così al desiderio di Antonio Senior che raccomanda ai posteri che "le memorie splendide ed onorate dè suoi passati debbano servire di stimolo ad imprese maggiori ed ad aumento della sua Casa, non di fornire ad una puerile o pazza superbia o a pompe inutili, e vanamente altere, e distruggitrici indegne delle famiglie più grandi".


2 - Principio della Casa, e d’onde veniamo, e d’onde il cognome

A pagina 2 del volume, Antonio Vallisneri così introduce la storia della sua Casa:

"M’avvisò il Conte Carlo Nobili Valisnera che per le guerre dei Romani si trovavano due fratelli Nobili Romani e bravi guerrieri, ai quali per le loro prodezze vittoriosi fu dato un Feudo grande ed opulento nei nostri monti. Uno di questi fratelli si chiamava Nerio, il quale ebbe la sua parte di un sito del monte, dove è un gran Lago o Valle, e la chiamavano Valle di Nerio, dal che ne derivò il cognome corrotto e unito di Valisneri, o Valisneria, o Vallesinera, come si sottoscriveva il Sig. Zio Medico Gioseppe, o Valsinieri come faccio io, così come consigliato, non troppo bene, dal Sig. Francesco Mattacodi (suo suocero, N.d.R.)"

Antonio, e siamo nel 1700, aveva impiegato parecchi anni nelle ricerche sulle origini della propria famiglia, lamentandosi del disinteresse dei suoi vecchi: ricorda che lo zio Gioseppe, quando era giovinetto, aveva usato pergamene antichissime, che testimoniavano le origini della Casa, "per rinchiudervi Paine, cioè vimini invischiate per prendere uccelli". Le ricerche tuttavia portano a far riconoscere ai Conti Nobili Vallisneri di Reggio che entrambe le famiglie sono "della stessa stirpe."

Come ricorda nel suo libro il conte Giovanni Artico di Porcia (1682-1743), biografo vivente del Kavalier Antonio, la famiglia dè Vallisneri fu nei secoli andati ed è di presente una delle più ragguardevoli di Lombardia (nel senso di area padana, come intenderebbe oggi Bossi). L’Edovari cronista di Parma novera tra le più antiche di questa città quelle dei Neri, i quali avendo edificato un Castello in certa valle, detta appunto dei Neri, dalla sua situazione e dal cognome l’appellarono Vallisnera, e tal denominazione passò pure alla Terra situata sotto il poggio di detto Castello, che al presente ancora Vallisnera di appella. Dai Neri vuole il medesimo Edoari che derivassero i Vallisneri, che però li conta tra i vecchi Patrizi di Parma. Secondo lo stesso Cronista i Vallisneri diedero il nome alla Valle di Senera, oggi detta dei Cavalieri, nella quale edificarono diverse castella e l’ebbero per gran tempo in loro balia.

Fulvio Azzari nel Compendio delle Cronache della Città di Reggio (1623) afferma che un ramo dei Vallisneri si chiamò del Cereto dal Castello e Terra di tal nome, ch’esso possedeva con molti altri Feudi nella diocesi di Reggio. Per le Signorie dunque che questa Famiglia godeva nei due territori di Parma e Reggio fu descritta tra le Case nobili di tutte e due queste Città e Pier Crescenzio nel suo Libro della Nobiltà d’Italia (1639-1642) la conta fra le famiglie Nobili della prima, mentre Pier Gazzata (1731) Cronista Reggiano la considera tra le Nobili e Potenti della seconda.


3- La Valle dei Cavalieri

Origine longobarda dei Vallisneri - La potenza militare

L’alta Valle dell’Enza, versante parmigiano e reggiano, la bassa Val Cedra e la Bassa Val Bardea anticamente "Terrae Militum" (Valle dei Cavalieri) costituirono la sede in cui i Vallisneri esercitarono il loro incontrastato potere dai primi secoli dopo il Mille.

In ordine alle origini del casato sono state fatte molte ipotesi. Alcuni la vollero legata con vincoli parentali alle stirpi matildiche e in particolare ai Baratti Bianchi da cui presero a differenziarsi con l’appellativo di "Neri" e a contraddistinguersi come Vallisneri con riferimento al castello di appartenenza.

Più recenti studiosi hanno accreditato l’ipotesi dell’origine "degana" (deganus designava i guerrieri più giovani al seguito dei re longobardi con compiti di sorveglianza dei milites barbarici) che nell’ambito gerarchico longobardo erano dei visconti.

In rapporti consortili con i matildici e influenza nell’agro confinale fra Lucca, Luni, Modena, Reggio e Parma stabilmente si stanziarono nell’appennino parmense-reggiano dal XII secolo e insieme ai loro parenti e ai loro seguaci arimanni, vi costituirono il fulcro della loro influenza che durò fino a tutta la prima metà del XV secolo (vedi la ricerca di Maurizio de Meo).

Il primo autentico documento che attesta la presenza nel territorio parmigiano e l’origine longobarda della famiglia Vallisneri è un atto di emancipazione dato in Ranzano il 31 gennaio 1107 (per il Porcia è 1105) "con il quale Rodolfo Vallisneri figliolo di Rainero di Nazione Longobardo insieme con Matilde sua Moglie e Guglielmo suo cugino dona la libertà a Gualtieri figliolo di Gusberto da Vallisnera, soprannominato Crinale, loro servo". Il fatto che i Vallisneri professassero la legge longobarda e che inserissero nel loro stemma il veltro (levriero da caccia), simbolo del potere longobardo, sono ulteriori elementi che consentono di affermare l’origine nobiliare longobarda della famiglia.

 

Vallisnera, villa del feudo nel comune di Collagna (Reggio Emilia)
ai piedi del Ventasso; con un rampollo Vallisneri.

 

Seguendo il Bacchini nella lettura del suo libro "La guerra del Castellaro nelle Valli dei Cavalieri - 1448" vediamo come i Vallisneri, esercitando la loro influenza feudale su territori appartenenti sia al comune di Parma sia a quello di Reggio, dovettero barcamenarsi tra contestazioni e liti dei due comuni. Così nel 1229 i due comuni affermano e rettificano in atti l’appartenenza reggiana del castello di Vallisnera (e i signori di Vallisnera giurarono a questo comune) ma viene altresì precisata, per volontà del podestà Cavalcabò l’appartenenza alla diocesi di Parma. Successivamente nel 1237 Buonaccorso di Vallisnera giura per Reggio, ma nel 1247 Umberto di Vallisnera occupa tali luoghi riportandoli sotto il dominio di Parma.

Col tempo e con il perdurare delle lotte interne, i Vallisneri si divisero in due rami: quello reggiano con centro di influenza in Vallisnera e quello parmigiano signoreggiante a Vairo, dove già dalla metà del XII secolo pare avessero occupato militarmente i feudi vescovili di Vairo, Vaestano e Selvanizza.

Entrambi i rami resero importanti servizi militari ai rispettivi comuni grazie alla particolare struttura militare cui erano a capo. Sul territorio delle Valli erano insediati altri militi di origine arimanna, raggruppati in masnade, da loro dipendenti.

Il comune di Parma spesso si avvalse della loro opera e riservò privilegi e vantaggi: nello statuto di Parma del 1255 vengono riconosciute esenzioni ai signori di Vallisnera e Vairo. Significativa della potenza militare raggiunta dalla famiglia è la lettura in chiave politica dei rapporti spesso difficili che i Vallisneri ebbero a tutto il XIV e XV secolo con le famiglie dei maggiori potentati, quali gli Este, i Gonzaga di Mantova e i Visconti di Milano.

Lo Statuto di Vallisnera - 1207

Giuseppe Micheli nel suo libro "Le Valli dei Cavalieri" (1915) nel documentare le origini della signoria del Comune Militum richiama un frammento dello Statuto di Vallisnera, che successivamente lo storico Ferdinando Laghi rintracciò in un manoscritto tra le carte dell’Archivio della Madonna della Ghiara.

Il documento è un chiaro specchio della vita e delle condizioni materiali, morali e giuridiche dell’Appennino reggiano nel XIII secolo.

I Vallisneri, commenta il Laghi, come tutti i feudatari di razza ebbero le loro fiere lotte e tragedie domestiche - liti, divisioni, parteggiamenti, omicidi - che li dilaniarono e impoverirono; ma non furono tiranni coi soggetti né "publici agressores viarum" coi forestieri e coi vicini. Il codice è invece informato da uno spirito, quasi moderno, di equità e di giustizia: non è una imposizione di comandi e neppure una largizione di norme, più o meno spontanea come avvenne più tardi. E’ invece un accordo, un patto bilaterale tra il Signore assoluto, che poteva dire semplicemente "Hoc volo, sic iubeo" e i sudditi, i quali allora nei contadi, non avevano altro diritto che quello di obbedire, pagare e servire. La genesi consensuale di questo ordinamento, concordato "ad esaltatione, honore et stato delli Signori et ad esaltatione, buon governo et pace de’ huomini di Vallisnera", spiega come i consueti diritti feudali si trovino così temperati dalle esigenze popolari.

Poche e lievi le prestazioni reali e personali: il feudatario Vallisneri si limita alla segatura delle sue "prade" allodiali, al legnatico nei boschi comuni, all’omaggio degli orsi e dei cinghiali presi dai cacciatori e ad uno "staro" annuale di frumento per "fummo" per chi tiene "turme" di bestie e un "quartare" per gli altri. Non i soliti privilegi di caccia, pesca, pascolo, macina, osteria, pedaggio, commercio; non regalie, guaite ed altre usuali "corvées" personali. Non più tracce di servi o "manentes": tutti gli uomini sono liberi e piccoli proprietari come oggi nell’alta montagna. Le Ville, chiamate con il bel nome di Comune, hanno personalità giuridica e autonomia amministrativa, eleggono i loro ufficiali - Consoli, Massari, Campari, Soprastanti alle vettovaglie, Stimatori dei danni, ecc.- Il solo Podestà è di nomina signorile, ma deve giurare di "iudicare iustamente", di non essere "partialle" e di non comportare che i sudditi siano "stratiati aut maltrattati".

Al tenore eccezionalmente liberale di questo Statuto, avrà conferito l’ambiente famigliare che diede quel giurista Bonacorso da Vallisnera compilatore con altri sette Savi delle popolari "Consuetudines" reggiane del 1242; ma soprattutto deve avere contribuito la tempra indipendente - ancora un po' ligure - dei nostri antichi montanari, ai quali, - notò un cronista parmigiano - "mai non li è possuto comandar... perché dicono di essere liberi".

I feudi dei Vallisneri furono i più lunghi della nostra regione. Una certa abilità di destreggiarsi con opportune aderenze, alleanze e neutralità, una montanara bonarietà verso i sudditi, con i quali persino si imparentavano democraticamente, preservarono i Vallisneri nei loro minuscoli domini di Nigone e Vallisnera per 5 o 6 secoli continui fino all’avvento napoleonico (decreto del Comitato di Governo di Modena del 17 novembre 1796 che abolì i feudi).

Stemma, o Arma de’ Valsinieri varia

Antonio ricorda che i Vallisneri variano molto lo stemma, pur essendo della medesima Casa.

Lo zio Gioseppe riproduceva "un cane levriere corrente per terra col campo turchino e stella sopra". Suo padre Pellegrino lo faceva dipingere in una cappelletta "con un cane sopra una fascia e sotto una stella rassomigliandola alla Canicola dello Zodiaco". Tale versione era variata dal padre Lorenzo con "una fascia pendente dal lato manco ed una stella sopra ed una sotto".

Antonio preferisce fare "un campo d’oro tagliato o diviso da una fascia rossa in mezzo alla quale sta un cane candido levriere con collare al collo e sopra una stella d’argento".

I Signori Conti Valsinieri di Reggio fanno "un campo di tutto lo stemma d’oro diviso da fascia rossa in mezzo alla quale vi è un cane in atto di correre di colore bianco; sopra la fascia vi è un’Aquila nera con il capo solo con le ali aperte." Sopra il corpo dello stemma vi è una Buffa aperta con una corona ed un mezzo cane. Lo stemma ricorda l’assunzione da parte dei Vallisneri del casato Vicedomini. Diverso ancora il sigillo dei Conti di Vallisnera: "campo diviso da una larga fascia fatta a scacchi con sopra un’aquila".

Antonio ricorda ancora che suo padre gli diceva che lo stemma è animato da un cane levriere perchè "Vallasnieri" vuol dire va là snello, cioè agile, ma questa gli sembra una "stiracchiatura".

Il sigillo fatto al tempo di Veltro porta invece un cane sopra una fascia con la scritta S. VOLTRE IOLI DE VALOSNERIA. Questo stemma "metà di sopra di color rosso con un cane levriere in atto di correre e metà inferiore di color d’oro" è il più antico ed è stato portato fino al 1469, anno in cui Federico Terzo concesse l’Aquila nera in campo d’oro a Gian Antonio e fratelli Vallisneri figli di Giovan Giacomo con il privilegio di Conte Palatino.

Nell’Enciclopedia Storico Nobiliare di Vittorio Spreti alla voce VALLI-SNERI è così indicata l’Arma: d’oro, alla fascia di rosso caricata di un cane levriere d’argento, collarinato d’oro, corrente ed accompagnata in capo da una stella di sei raggi di rosso alias d’oro, alla fascia di rosso caricata di un cane levriere di argento, collarinato d’oro, passante e sormontata da un’aquila coronata di nero.


4 - Discendenza dei nobili Vallisneri

I primi Vallisneri ricordati nei documenti, come risulta dall’Albero genealogico conservato nella Eredità Vallisneri (filza 38 - n.49) dell’Archivio della Madonna della Ghiara di Reggio Emilia sono:

Da Veltro di Valisnera (anno 1246), libero Signore del Castello e terra di Vallisnera e Condomino nelle Valli dei Cavalieri discendono i rami dei Vallisneri fino ai nostri giorni

L’anno 1357 è di notevole importanza perchè segna la divisione fra i Condomini Vallisneri delle proprietà: da una parte Pietro di Bonacorso, Gherardo, Giorgio e Franceschino di Togazia, dall’altra Giacomo, Veltro e Simone.

Ai primi condomini furono assegnati il Poggio del Cerreto, le terre di Collagna e delle Valli nelle Diocesi di Reggio e le Ville di Soccino, Miscoso e Camporizio nella Diocesi di Parma.

Ai secondi condomini le Ville di Valbona, Pietrapaulo, Vallisnera ed Acquabona nella Diocesi di Reggio e le Ville di Poviglio, Astorre, Fornolo, Cervanizza, Castagneto, Recò, Taviano, Valtemporia, e Sebriva nelle Diocesi di Parma ed ancora i Vassalli nelle Ville di Vairo, Isola, Trevignano, Caneto, Fabro, Palanzano, Zibana, Naseta e Campo.

Tra i patti espressi nei documenti di divisione fu stabilito che, mancando uno dei Condomini senza figlioli, doveva succedere il più prossimo degli agnati e così per tutti i loro discendenti. Un’altra divisione, ricorda sempre il Porcia, avvenne tra i Colonnelli della famiglia nell’anno 1393.

Da tante divisioni e diramazioni, che squarcia la famiglia Vallisneri, nasce la strana difficoltà di dedurre sino ai nostri giorni (e siamo nel 1700) una retta e non interrotta discendenza dalle varie linee. A questa difficoltà si aggiunge il fatto che, seguendo la legge longobarda, tutti i maschi si ammogliavano e perciò impoverivano ed ai più ricchi dei loro Agnati vendevano i loro diritti feudali: spossessati dei Feudi perdevano il benefizio delle investiture tanto vantaggiose per conservare le memorie dei Casati e le notizie autentiche delle loro genealogie.

I Vallisneri Conti di Nigone e Vicedomini

Da Giacomo e dal figlio Antonio discendono i Vallisneri Conti di Reggio che furono fra i maggiorenti della montagna reggiana; dopo la guerra del Castellaro (1448) e la perdita dei territori parmensi conservarono il feudo di Nigone. I discendenti in linea retta da Antonio furono

Con l’eredità Vicedomini i Vallisneri acquisirono un palazzo situato nel corso della Ghiara (ora Garibaldi) che divenne la dimora abituale della famiglia. Girolamo Vallisneri sposò la contessa Euridice Malaguzzi Valeri. Dal matrimonio nacque Marianna, unica figlia, morta giovane sposa nel 1808. Il ricordo della sua morte fu struggente per i genitori, come ricorda l’epigrafe del sacello del Vallisneri posto a fianco del primo altare a sinistra nel Tempio della B.V. della Ghiara.

Il Conte Girolamo visse in tempi difficili ma si applicò con dignità per il bene della comunità sia nella direzione di importanti organizzazioni religiose, sia, con la proclamazione della Repubblica Reggiana (26 agosto 1796), entrando a far parte del Consiglio degli anziani. Nonostante la soppressione dei feudi e dei titoli nobiliari, continuò a svolgere con dignità gli incarichi assegnati dalle autorità repubblicane. Tuttavia dove svolse la sua opera con maggiore passione e responsabilità fu durante gli ultimi diciotto anni della sua vita quando presiedette la Fabbriceria del Tempio. L’ultimo atto d’amore verso la Madonna è documentato nel suo testamento quando volle lasciare tutti i suoi beni al Tempio. Dopo l’approvazione del duca di Modena Francesco IV su quanto per testamento aveva disposto il Vallisneri-Vicedomini, l’Amministrazione comunale demandò la gestione dell’eredità alla Fabbriceria del Tempio con l’obbligo di mantenere una contabilità a parte, secondo le disposizioni chiaramente espresse dal testatore. Quest’anno 1996, nel quattrocentesimo anniversario del primo miracolo della Madonna della Ghiara nei confronti di Marchino, che era stato da ragazzo al servizio di un conte Vallisneri, viene ricordato anche con gratitudine l’insigne benefattore Girolamo Vallisneri.

I Nobili di Vallisnera (ramo scandianese)

Antonio Vallisneri dedicò il massimo impegno per documentare la discendenza diretta dal Casato di Vallisnera; così infatti testimonia in un documento inserito nel Libro di Fondamenta: "Fra le cose poi di decoro alla nostra famiglia delle quali senza superbia posso pregiarmene, una si è, l’avere stabilito col Diploma anche Imperiale l’antica nobiltà della nostra Casa, ch’era andata affatto in dimenticanza, mentre i Sig.ri Conti Vallisneri negavano che fossimo della vera famiglia de Nobili di Vallisnera...

Ma perchè mi premeva molto che i Conti Vallisneri credessero che eravamo tutti della stessa antica famiglia mi servii del celebre Padre Abate Bacchini Benedettino, portandogli documenti antichi, nei quali si vede che veniamo da un Ettore de Nobili di Vallisnera, ch’era Podestà di Casalgrande che allora era fortezza insigne... Il Padre Bacchini mostrò i miei documenti e scritture antiche al Padre Don Mauro Vallisneri, fratello del Conte Borso, dalle quali restò pienamente soddisfatto e convinto, m’abbracciò e mi riconobbe della sua antica nobile famiglia, benché di un Ramo dalla Malvaggia fortuna oltraggiato e nei suoi beni di fortuna distrutti."

Il collegamento della famiglia di Antonio e dei suoi discendenti con Giacomo, di Nicolò, di Emanuele di Veltro di Valisnera, fu quindi completato da Clotario Borso Vallisneri in un documento che ho pure rintracciato fra le pagine dei Fondamenta e che di seguito riporto

Notizie di Lorenzo Vallisneri, Padre di Antonio

Nei Fondamenti Antonio così traccia il profilo del padre:

"Lorenzo, che è il Signor Padre, nacque l’anno 1614, 6 gennaio, ed ancor vive, molto vegeto, sano e robusto oggi (morì a 88 anni il 21.7.1702).

Egli si addottorò in Legge ed è stato 30 e più anni nel ruolo degli Offiziali di Giudicatura del Duca di Modena e tre anni Governatore di Spilimberto. Fu Capitano di Ragione (ossia Pretore) di Camporgiano, di Tresilico, di Montefiorino.

Ha avuto due mogli: la prima, la signora Isabella Anceschi di Scandiano. La seconda, la Signora Maria Lucrezia Davini da Camporgiano, figliola del Dottor Antonio Davini, avvocato rinomatissimo e grande.

Dalla prima ebbe due figlioli (in realtà tre): Pellegrino che morì infante, altro Pellegrino che morì giovinetto e la signora Claudia che si maritò a Reggio con il signor Lanzi Antonio.

Dalla Signora Maria Lucrezia ebbe primieramente la mia persona (Antonio), la seconda signora Laura (terzo don Francesco Arciprete di Scandiano), quarto il signor Dottor Liberato, quinto il signor Gioseppo, sesto il signor Pellegrino, tutti miei dilettissimi fratelli."

(da Appunti di Cronaca Scandianese di Guido Agosti)


5 - Notizie della Vita di Antonio Vallisneri Senior

Antonio Domenico Vallisneri nacque il giorno 3 maggio 1661 nella Rocca di Tresilico di Garfagnana da Lorenzo Dottore in Legge e da Maria Lucrezia Davini. Il Dottor Lorenzo era allora Capitano di Ragione per il Duca di Modena Alfonso IV d’Este.

Studiò la Grammatica nelle scuole dei Gesuiti a Modena, la Retorica e la Filosofia Aristotelica a Reggio ove discusse le sue tesi nel 1682. L’anno successivo iniziò i suoi studi a Bologna alla scuola del celebre medico Marcello Malpighi. Nel 1684 ricevette in Reggio la laurea di Medicina e di Filosofia. Ritornò quindi a Bologna a proseguire gli studi di medicina pratica, di Botanica, Chirurgia e Chimica. Terminato il corso, si congedò dal Malpighi il quale "lo confortò a continuare l’esercizio delle sperienze nell’uomo, negli animali e in tutto il Regno della Natura."

Nel 1685 si recò a Venezia a far pratica presso Jacopo Grandi, medico ed anatomista di fama e Lodovico Testi, medico e chimico allievo dello zio Giuseppe a Reggio; nel 1686 fu a Parma alla scuola di Giuseppe Pompeo Sacco, medico vicino alla farmacologia chimica.

Ritornato a Scandiano, iniziò l’esercizio della medicina pratica, anche per consentire ai suoi fratelli di fare il loro corso di studi, Liberato come Dottore di Leggi e Francesco, che fu poi Arciprete di Scandiano. Fu medico della condotta di Luzzara nel 1695, quindi di quella di Castelnuovo di sotto nel 1698 (Guido Agosti).

Sempre a Scandiano oltre all’attività di medico approfondiva le sue ricerche naturalistiche con metodi moderni e con spirito acuto. Pubblica in quel periodo i saggi sulla generazione degli insetti. I suoi "Dialoghi" gli valsero una notevole fama fra i letterati del tempo e quindi l’invito ad assumere la cattedra di medicina pratica presso l’Università di Padova nel 1700. La sua opera fu molto apprezzata oltre che dagli allievi, dagli scienziati europei del suo tempo. Fu membro della Royal Society di Londra.

Il 27 aprile 1692, quando aveva 31 anni, sposò a Scandiano la sig.na Laura Mattacodi che aveva solo 15 anni., che fu "donna di spirito e di venerandi ed antichi costumi e a lei abbandonò il pensiero dell’economia e delle cose sue famigliari. Così Antonio poté attendere ai suoi studi, né fuori di essi svagarsi, aiutato dal suo Museo, dai suoi libri, dal suo felice discernimento e dalla quiete della sua casa"(in tal modo il Porcia).

In una nota dei Fondamenti Antonio così ricorda la moglie "Oggi 7 novembre 1729, in cui sono in Padova Primario Lettore è viva ancor, lode a Dio, savia, sana e prudente, governando essa tutta la casa, ed io attendendo allo studio".

La famiglia di Antonio (ved. Vicende Familiari di Antonio Vallisneri Senior di Guido Agosti) fu perseguitata da un avverso destino in ciò che di più caro ha una famiglia cristiana: i figli. Laura ne generò ben diciotto, ma solo quattro di essi sopravvissero ai genitori. Gioseffo, Claudia e Giuseppe morirono subito dopo la nascita.

Così pure Maria Rosalba, Lorenzo, Luigina, che morì a sei anni in un incidente stradale a Scandiano, ed ancora Lucrezia Maria, Paolo Francesco e Girolama Desarina.

Le prime due figliole che sopravvissero furono Claudia Angelica, nata a Luzzara il 22 giugno 1696, che volle restar nubile e fece da segretaria al padre, raggiungendo la bella età di 84 anni, Camilla Monica, nata a Luzzara il 4 maggio 1698, che giovinetta si fece monaca nel convento di S. Bartolomeo di Padova. Anche Fortunata Maria, nata a Padova il 13 maggio 1701, giunta alla maggiore età si fece monaca, scegliendo il monastero delle "Eremite" ove era stata educanda.

L’unico figlio maschio sopravvissuto nato a Padova il 5 giugno 1708 fu battezzato con i nomi di Antonio Gaetano Luigi Domenico Maria. Nell’in-verno seguente Tonino, come affettuosamente lo chiamava il padre, fu sul punto di morire per una bufera di freddo; ancora a dieci mesi, ricorda nei Fondamenti, lo scienziato salvò il figlio facendosi mandare con urgenza da Venezia la medicina giusta; poi ancora a sei anni Tonino riuscì a guarire pur essendo colpito dal vaiolo.

A Padova la famiglia Vallisneri, che abitava nella casa dei nobili Pesaro nella contrada e vicinia di S. Bartolomeo delle Monache, rimase per trent’anni e non si mosse se non per i viaggi e per le vacanze che trascorreva ogni anno a Scandiano.

A Padova Antonio assunse definitivamente il cognome antico Vallisneri, cui fece seguire in documenti e stampe "de nobili di Vallisnera", come gli aveva consigliato il cugino benedettino Don Mauro dei Conti Vallisneri.

Rinaldo I, Duca di Modena, Sovrano del Prof. Antonio Vallisneri, Principe Giustissimo, estimatore del valore degli uomini, per riconoscere e fregiare il merito del suo illustre vassallo gli spedì il 30 gennaio 1728 un diploma sottoscritto di sua mano in cui di "motu proprio" dichiarò Cavaliere il nostro Professore, Antonio suo figliolo e i loro discendenti in perpetuo (Ved. Vita e Studi del Prof. Cav. Antonio Vallisneri, pubblicati dal figlio Antonio).

Per delineare il carattere e il modus vivendi in famiglia di Antonio è opportuno riportare quanto affermato dal biografo ufficiale Gian Artico Porcia:

"Anche in ufficio di padre di famiglia vi era in lui molto da ammirare. Pieno era di attenzione e d’amore non soltanto verso la moglie e i figlioli ma verso i suoi servitori e si studiava che a tutti fosse provveduto in tal guisa che niente avesse loro a mancare. Le gravi perpetue sue applicazioni il pensiero della mente non gli cancellavano della educazione dei figlioli. Con somma dolcezza loro instillava il rispetto, l’osservanza dei precetti e dei riti della nostra Religione, e l’amore della virtù."

Il grande medico e naturalista morì a Padova il 18 gennaio 1730 per bronco polmonite di origine influenzale trascurata. Fu sepolto nella Chiesa degli Eremitani di Padova. Nella parete vicina è scolpito il seguente elogio:

"A Dio Ottimo Massimo. Ad Antonio Vallisneri, grande sostenitore del-l’Arte Medica, celeberrimo restauratore della Storia Naturale e della Filosofia, innalzato ovunque agli onori più alti. Pose addolorato il figlio Antonio".

Antonio Vallisneri, medico, naturalista, letterato, scienziato

Da una prima lettura della vita e degli studi del Kavalier Antonio Vallisneri, secondo la biografia di Giovanni Artico di Porcia, appare in gran evidenza la complessità della personalità di Antonio, non solo rispetto al contesto storico in cui è vissuto ma anche nella proiezione dei tempi moderni. E’ una personalità ricchissima che spazia dalla filosofia, alla medicina, alla letteratura, alla ricerca scientifica. Le sue ricerche sono condotte con metodi moderni e spirito acuto ed è ancora da approfondire il suo contributo per superare vecchie concezioni o come dice il Porcia "per purgare la Medica e la Naturale Istoria da tutte le menzogne e imposture introdotte da scrittori, o ingannati o soverchiamente creduli, o maliziosamente ingannatori, con lo scopo di sostenere il decoro e la gloria degli studi d’Italia a fronte dell’emulazione degli Oltramontani".

Le sue opere, raccolte dal figlio Antonio ("Opere fisico mediche") sono ricchissime, anche dal punto di vista letterario; scrivendo in Italiano e non in latino il Vallisneri si propone di recar prestigio alla nazione, spinger gli stranieri ad imparare la lingua italiana, dar maggior diffusione al proprio pensiero rendendosi comprensibile anche a chi non conosce il latino. Ma nelle opere del Vallisneri - commenta il Porcia - "niente è più mirabile che la di lui accortezza e felicità nello scoprire nuovi e non mai più osservati arcani della natura".

Del resto il percorso formativo da lui seguito e sempre alimentato è quanto di più moderno anche per i nostri tempi unendo lo studio, alla verifica sperimentale ed alla ricerca presso i vari maestri nelle università e scuole delle diverse città.

Pur rinviando all’opera del Porcia per l’approfondimento delle opere vale la pena ricordare le più importanti:

A testimonianza della fama riconosciutagli nel suo tempo è interessante e curioso ricordare le Accademie che lo annotavano fra i membri:

Nell’Archivio di Stato di Reggio vi è quindi la raccolta di tutti i documenti, attestati, sonetti in suo onore. Vale la pena di ricordare l’attestato in latino del Consiglio Anziani della sua città:

"Nos Prior et Anziani Ill.mi Senatus Regij in Emilia Fidem facimus et attestamus Ill.mum D.num Antonium filium D. Doctoris Laurentii Valesniery Nobilem Regiensem, de antiqua ac nobili Valesnierorum Famiglia, celeberrimum medicinae ac Philosophiae Doctorem, Primarium in Patavina Universitate, Lectorem ac ob eximia eius virtutem intimus Augustissimy regnanti Imperatory medicum fuisse ac esse descriptum in helenco Ill.morum Antianorum et Consiliariorum huius Civitatis et inter ceteros nostre Urbis Nobiles habitum fuisse ac Habendum fore: Et ideo presentes patentes Litteras Cancelario nostro maiori solito sigillo muniri mandamus. Datum Regjj ex maiori nostro Palatio Anno a Circuncisione D.nica millesimo septingentesimo vigesimo octavo, sexta die trigesima prima januarij."

Testamento spirituale di Antonio Vallisneri

Antonio Vallisneri non solo proveniva da una famiglia di solida tradizione religiosa, ma personalmente fu uomo di fede schietta e vissuta: come uomo ebbe limiti e difetti, commise, come tutti, peccati ed errori, ma complessivamente fu un ottimo cristiano.

Mentre al suo tempo vari studiosi erano scettici o agnostici verso la religione, egli fu vero scienziato e credente. La sua fu una fede illuminata, che oggi possiamo dire precorritrice dei tempi, per la lotta strenua ed accanita contro la credulità e l’ignoranza di certi cristiani. Ciò appare nelle sue opere, sia quando parla del Diluvio Universale o del Paradiso Terrestre, sia quando combattendo contro la Generazione Spontanea, afferma che ogni singolo animale è stato creato, specie per specie si da formare una "catena" degli esseri.

Al termine degli Esercizi spirituali, che negli ultimi anni fece più volte nella Casa aperta in Padova dal Cardinal Barbarigo, lasciò alcuni Avvertimenti paterni al figlio Tonino, che costituiscono un nobile Testamento spirituale.

Tre cose raccomanda "con tutto lo zelo e l’amore paterno che vi vorrebbe vedere perfetto, felice e di ogni più bella virtù adorno, cioè: Religione verso Dio, Umiltà verso gli uomini, castità verso le donne".

Dopo aver ricordato che è Iddio creatore e conservatore "di questa oltremirabile macchina" e che ciò lo si può riconoscere dalle arti e dalle scienze, che non si conoscono ab immemorabili, ma nate dalle fatiche, applicazioni e studi degli uomini, e che l’anima è immortale - perchè quel cogitans che abbiamo in noi non può venire dalla materia, richiama la Religione insegnata da Cristo Salvatore "che è infallibile e la migliore, in cui per divina bontà viviamo e morir dobbiamo". Continua poi:

"Dio anima e Religione vi stiano incancellabilmente fisse nel cuore e non dubitate che Iddio vi assisterà, vi premierà ed esalterà sempre a maggiori onori e ricchezze la nostra rinascente casa, che si era oscurata e avvilita per castigo di qualche peccato e per l’ignoranza dei nostri vecchi avi."

La seconda base del vivere felice, fortunato ea amato da tutti è l’umiltà. Cristo fu il primo a fare e dire virtù l’umiltà, che agli antichi moralisti fu ignota.

"Il bello si è che con l’umiltà nulla si spende e tutto si guadagna e si ha in pugno la benevolenza ed il cuore di ognuno".

La terza base della vita felice deve essere la Castità "imperocché se vi darete in preda alla lussuria, perderete l’anima, il corpo, la reputazione e la roba" (Antonio era un po’ "tirato" ma non antifemminista come parrebbe da questa predica).

Dopo avergli ricordato che è unico e solo sostegno della "nostra casa rinascente" e di avergli dato tutti mezzi necessari (buoni libri, maestri, viaggi per l’istruzione dell’anima e del corpo) lo invita a "operare da uomo onesto, savio e cristiano e a ringraziare Iddio di tante grazie ricevute, di non fare mai disonore alla Casa né dar travagli a tutti noi che tanto vi amiamo".

Da queste note traspare il grande amore per il figlio prediletto ma anche la preoccupazione che tutto ciò che con la sua vita di scienziato è riuscito a fare per illustrare la Casa, lottando contro "emuli, invidiosi e maligni" non vada perduto.

(dalla Pubblicazione di Guido Agosti)


6 - I Discendenti di Antonio Vallisneri

Antonio Gaetano nato a Padova il 5.6.1708 - (figlio di Antonio senior)

Dopo una fanciullezza segnata da gracilità e malattie, cui corrisposero le attenzioni e le cure più appropriate da parte del Padre, Antonio iniziò gli studi con precettori privati e quindi al Collegio dei Gesuiti, ove ebbe come insegnante un gesuita letterato: Francesco Saverio Quadrio. Il padre si preoccupò di fornirgli i mezzi economici per gli studi, i libri, i viaggi d'istruzione: nel 1725 a Milano e sul Lago Maggiore ospite dei Borromeo, quindi, come d'uso per i nobili di allora, fece il "tour d'Italia". Predilige gli studi filosofici e legali ed il 24-3-1730, si laurea in "utroque iure".

Alla morte del padre eredita quindi un immenso patrimonio di libri ed il ricchissimo museo, che era già meta di studiosi anche stranieri, ed era allestito nella casa paterna. Su suggerimento degli amici del padre ed in particolare di Morgagni donò la biblioteca ed il Museo all'Università di Padova. Il governo della Serenissima accolse il dono e l'Università allestì le sale per accogliere la biblioteca ed il museo (1733). Antonio, con l'aiuto del Quadrio, iniziò quindi la compilazione dell'opera omnia del padre e con la prefazione dell'opera dimostrò la sua capacità didattica e scientifica.

Il 18-1-1734, l'Università di Padova istituì per lui una nuova cattedra di "Istoria de corpi naturali" strettamente collegata alla gestione del museo e quale benemerenza per il dono ricevuto.

Antonio, nei 40 anni di attività universitaria, si dimostrò un bravo insegnante, spronò molti giovani alla ricerca scientifica, fu soprattutto un teorico dell'attività sperimentale, mancandogli la costanza e l'impegno per la ricerca concreta di verifica delle sue ipotesi. Non era un uomo coraggioso, capace di sostenere polemiche (molto soffrì per le avversità dello Spallanzani) e non pubblicò mai la sua opera sull'Istoria naturale, che rimase manoscritta. Recentemente sono stati rivalutati i suoi scritti anche con una difficile ricerca dei manoscritti. Durante la sua lunga carriera universitaria arricchì notevolmente il museo, che nel 1869 fu suddiviso per dotare ben quattro istituti universitari. Ebbe quindi l'onore di essere ricordato dai Riformatori dello studio di Padova con ritratto ed epigrafe posti nella pubblica libreria di Padova, il che ci attesta del suo valore come insegnante in quell'Ateneo in cui "solida cum discentium utilitate docuit, magni parentis vestigia secutus" (Storia di Scandiano di Aderito Belli)

Nel 1742 sposò la contessa Cristina Sant'Agata di Modena, figlia del conte Borso, Sottosegretario della Casa regnante, e da lei ebbe sette figli, dei quali vissero Maria Camilla, Luigi Filippo, nato nel 1750, Borso Francesco Paolo, nato a Padova nel 1759. La figlia maggiore andò in sposa nel 1768 (e per la sua dote il padre dovette vendere un podere) mentre i figli furono inseriti nella Paggeria (Scuola di Paggi o Collegio Militare) di Modena ed ebbero come precettore Don Bartolomeo Cavazzuti.

Antonio morì nel 1777 e si preoccupò, con precise norme del suo testamento, che i beni lasciati ai figli, restassero per quanto possibile uniti, per garantire agli stessi, alla consorte ed alla sorella Claudia, una dignitosa esistenza.

Luigi Filippo, capitano delle truppe estensi, abitò a Reggio nella casa di Via S. Nicolò a lui intestata, e (come risulta dagli appunti sui resoconti delle spese) non si preoccupò certo di mantenere integro il patrimonio; morì a Reggio nel 1810.

Borso Francesco Paolo nato a Padova il 23.3.1759 (figlio di Antonio iunior)

Con il fratello Luigi fu inserito nella Paggeria ove rimase fino al 1777 e fu Paggio d'onore di SAS il Duca di Modena. Fu Podestà di Scandiano dal 1811 al 1813 e quindi dal 1815 al 1832. Sposò nel 1787 a Scandiano Marta Bertoldi Mattacodi ed ebbe quattro figli: Antonio Domenico Gian Maria (1790), Ferdinando Filippo Maria (1801), Cristina Anna Maria (1803), Alessandro Vincenzo (1799).

Morì il 26 novembre 1839 ad 80 anni e fu tumulato nella Chiesa detta degli Ospedali degli infermi fuori Scandiano. All'Archivio notarile provinciale (Archivio di Stato - notaio Barbieri Dr. Paolo - busta 6803, atto 1656) risulta il rogito della divisione dei beni nel 1840 tra il ramo del figlio Antonio e quello di Ferdinando.

 

Antonio Domenico Gian Maria (figlio di Borso) nato a Scandiano il 12 luglio 1790

Sposò Ruspaggiari Rosa di Reggio ed ebbe cinque figli:

Ferdinando Filippo Maria (figlio di Borso)

Nato a Scandiano il 26 marzo 1801, sposò Maddalena Lei di Sassuolo, ebbe due figlie, Giuseppina Laura Maria nata a Scandiano il 12 luglio 1830 e morta a Reggio il 31 gennaio 1892, Adele Claudia Maria nata a Scandiano il 27 aprile 1834, e tre figli


7 - Il bisnonno Alcide Vallisneri

Terzo dei figli maschi di Ferdinando percorse gli studi a Modena dove si laureò in Medicina, dopo il perfezionamento a Firenze ed un breve periodo di attività a Scandiano, ove è ricordato il civile coraggio e l'animo intrepido durante il colera del 1855, fu medico condotto nel Comune di S. Polo D'Enza e quindi in quello di Reggio. Sposato con la Signora Maria Martinelli a S. Polo ed ebbe i suoi figli:

Dopo 14 anni di servizio come medico nella condotta di S. Polo svolse la sua professione per 27 anni nelle Ville di S. Pellegrino e di Coviolo del comune di Reggio, ove seppe accattivarsi la stima e l'affetto di quanti lo avvicinarono.

Di carattere franco e schietto e di animo lealissimo e sincero "ebbe largo e generoso il cuore e soccorse con zelo, diligenza ed amore l'umanità sofferente e i poveri delle ville dove fu medico". Alla sua morte, avvenuta il 30 marzo 1900, tante furono le testimonianze di affetto e di stima (come è riportato nel giornale "L'Italia Centrale") non solo delle autorità, dei colleghi medici, ma di tanti contadini e suoi pazienti. Le sue doti sono ricordate anche nella lapide nella tomba di famiglia nel Cimitero suburbano di Reggio, ove riposa insieme alla moglie (deceduta nel 1906) ed al figlio primogenito Alberto "di famiglia nobile illustre per oltre 40 anni esercitò la medicina nei comuni di S. Polo e Reggio e parve tempo breve agli infermi come brevissima fu la sua vita onesta, laboriosa, onorata alla moglie ed ai figli diletti".

(nel racconto di Marialuisa Vallisneri)

Il N. H. Ferdinando Vallisneri, brillante ufficiale di cavalleria, sposò la contessina Teresa Bonini il 4 febbraio 1889. La nuova famiglia si stabilì nell'antico Palazzo Zoboli in via De Amicis 10 (ora Via Roma) alternando i soggiorni estivi nella bella villa di S. Pellegrino di proprietà Bonini.

Ferdinando voleva al più presto un erede maschio. Vennero invece cinque figlie: Elena, morta bambina, Alberta nel 1890, Maria nel 1892, Margherita nel 1893, Guglielmina detta Mimina nel 1894. Finalmente arrivò il figlio maschio William nel 1896. Si racconta che il capitano Ferdinando facesse sfilare la banda del Reggimento sotto le finestre dell'esausta puerpera. Il secondo figlio maschio Alcide nacque nel 1899; seguirono Mafalda nel 1903, Antonio nel 1907 e Alessandro nel 1909.

Teresa, di salute delicata, sfibrata dalle tante maternità lasciò che le figlie si occupassero degli ultimi nati. Antonio e Alessandro dormivano nella camera delle sorelle maggiori; fu soprattutto Mimina a prendersi cura di loro mentre le altre si sposavano molto giovani secondo i costumi del tempo.

Alberta sposò nel 1909 l'ing. Camillo Ferrari, un giovane ingegnere che la portò a vivere in Sicilia , dove seguiva dei lavori, e quindi a Roma. Là ebbe la prima figlia Lina, cui seguirono Alberto, Gianfranco, Luciana e Ferdinando, morto a soli 9 anni.

Maria ebbe una sorte più triste: sposa felice ed in attesa di una creatura morì di tifo a soli 27 anni nel 1919.

Margherita, la più bella e brillante, dopo un amore proibito per l'attendente del padre venne allontanata da casa e mandata in Sicilia presso Alberta e qui conobbe Luigi Spedini che la sposò e la rese molto infelice. Erano andati ad abitare a Brescia, dove Rita si ammalò e morì nel 1929.

Nella bella foto di famiglia, forse scattata nel 1916, manca Alberta: c'è William in divisa, Alcide, Rita, Maria, Guglielmina e, davanti, Mafalda, Teresa, Antonio, Alessandro in braccio al padre.

Nel 1917 moriva Ferdinando per un infarto durante una licenza. Ai suoi funerali, come risulta dal "Giornale di Reggio", partecipò una grande folla di autorità, estimatori ed amici, la rappresentanza del 66° Reggimento di fanteria del quale era Tenente Colonnello.

Impegnato nella carriera militare e poi in guerra, non si era mai occupato delle proprietà terriere della famiglia e la situazione divenne presto difficile. I Vallisneri continuavano a vivere nella villa di S. Pellegrino ma nessuno sapeva come amministrare quanto rimaneva del patrimonio, meno di tutti Teresa che non se ne era mai informata.

William si sposò con Pia Cuppi nel 1921 e si stabilì a Reggio dove nacquero i suoi figli Ferdinando nel 1922 e Franco nel 1928. In seguito la carriera militare lo portò a Trieste con la famiglia.

Alcide, diplomato in ragioneria nel 1917 in tempo di partire per il fronte con i "ragazzi del 99", al termine della guerra restò nell'esercito e nel 1922 sposò Pia Carretti che aveva conosciuto a 15 anni. Nel 1923 nacque la prima figlia Maria; nel 1925, Alberta. Subito dopo per non essere costretto a prendere la tessera fascista, si congedò e accettò un posto come amministratore di una piccola fabbrica a Gargnano sul Garda. Qui nacque la terza figlia Teresa nel 1929.

Nel 1927 si sposò anche Mafalda con Giacinto Zani e si stabilì a Brescia. Qui la raggiunse Mimina, che portava con sé i due fratelli più giovani; nel 1927 era morta la madre e sembrava che non ci fosse più motivo di restare a S. Pellegrino, dove avevano vissuto dopo la guerra. La piccola famiglia si disgregò presto: Mimina accettò un posto di educatrice presso una colonia permanente in provincia di Pisa e i due ragazzi presero strade diverse: Antonio andò a Napoli dove conobbe e sposò Paola, che gli avrebbe dato tre figli Eugenia, Giuseppe ed Alcide.

Alessandro, dopo un periodo in Africa, tornò in Italia a Gargnano presso Alcide e qui incontrò e sposò Diva Clelia Partel, che gli avrebbe dato poi quattro figli: Ugo, Alfonsa, Pierantonio e Ornella.

Nel 1936 moriva il marito di Mafalda, che con il figlio Lodovico, raggiunse il fratello Alcide a Parma dove si era trasferito con la famiglia. L'anno dopo nel 1937 nasceva l'ultimo figlio di Alcide, Graziano, ma quattro mesi dopo lo stesso Alcide moriva lasciando la moglie con quattro figli. Anche lui era stato stroncato da infarto a 38 anni.

Il fratello maggiore William lo seguì nel 1944; ancora una volta si trattava di infarto. Negli anni della guerra Mimina veniva ricoverata in una clinica per malattie mentali a Volterra, dove sarebbe rimasta fino al 1973, quando le nipoti la trasferirono in una casa di riposo presso Parma dove visse serenamente gli ultimi anni.

Nel 1963 moriva, a Roma, Alberta. Suo marito l'ing. Ferrari era divenuto proprietario della villa di S. Pellegrino e di altre proprietà dei Vallisneri, acquistandone le quote dagli eredi. Negli anni ’70 morivano anche Alessandro (1978), Mimina (1979), Mafalda e Antonio, gli ultimi figli di Ferdinando.

La chiesa di S. Pellegrino e Palazzo Zoboli, residenza dei Vallisneri a Reggio (in via de Amicis, oggi via Roma)


8 - La storia dei Vallisneri continua

Le vicende della vita avevano portato i fratelli Vallisneri in quattro città diverse dove sono vissuti e vivono i figli ed i nipoti: William a Trieste, Alcide a Parma, Alessandro a Reggio Emilia e Antonio ad Asti. Nel ricordare di seguito tutti i componenti delle famiglie e nel concludere il percorso di vita "da Veltro ai nostri giorni", formulo l’auspicio, specie per i giovani, di sentirsi più vicini tra loro con l’invito di continuare ad annotare, come Antonio fece nel libro dei "Fondamenti" gli avvenimenti più importanti della loro vita.

A Trieste William ha lasciato i figli Ferdinando e Nando:

A Parma Alcide ha lasciato i figli

A Reggio Emilia Alessandro ha lasciato i figli

Ad Asti Antonio ha lasciato la figlia Eugenia ed i figli

A tutti questi ultimi Vallisneri l’augurio di sentirsi "nobili" soprattutto nell’animo e nel cuore.

Dall’Elenco storico della Nobiltà Italiana alla voce Vallisnieri o Vallisneri risultano iscritti i seguenti col titolo di Cavalieri Patrizi di Reggio

Nell’elenco non risulta perché non ancora nato Alessandro di Ferdinando, di Alcide.


 Bibliografia e documenti consultati