Franco Vallisneri (1928-1995)
A Trieste la storia dei Vallisneri continua con Ferdinando, che ha tre figli: il Prof. Guglielmo e i giovani Massimo e Paola, studenti universitari. Continua ancora con Lorenzo, figlio di Franco; Lorenzo ha una bambina, Nicole, di 6 anni.

Franco Vallisneri, scomparso nel 1995, era un noto musicista, fisarmonicista di gran classe, che anch’io da piccolo avevo scoperto nei programmi radiofonici. Di Franco riporto un ritratto apparso sul quotidiano di Trieste insieme alla recensione di una delle sue prime esibilizioni. Questo materiale mi è stato gentilmente messo a disposizione dalla moglie di Franco, Renata Collarini.


Una fisarmonica per il jazz

Al sorriso mite di Franco Vallisneri corrispondeva una modestia che di rado si incontra tra i musicisti. Ora che non c’è più ci accorgiamo quanto fosse ingiustificato il suo ``rimanere nell’ombra''. Continuava a ripeterci di non essere abbastanza preparato tecnicamente: proprio lui che possedeva un orecchio in grado di acchiappare al volo un tema bebop o una cascata di accordi, che improvvisava con magnifica fantasia melodica, che aveva un infallibile istinto ritmico.
La sua storia testimonia un travolgente amore per la musica vissuto attraverso i ritmi e le armonie d’oltreoceano. Nei primi anni ’50 Vallisneri (classe 1928) cominciò a solcare i palcoscenici triestini.

Il fraseggio della sua fisarmonica brillò nelle innumerevoli registrazioni per Radio Trieste, nel sound dell’Orchestra Triestina Jazz diretta da Zeno Vukelich oppure a fianco di Teddy Reno, Nilla Pizzi, Kramer ed Ernesto Bonino. Ma le avventure più entusiasmanti coinvolsero gli amici di un ``favoloso'' quartetto: il trombettista Gino Carcelli, il contrabbassista Danilo Ferrara e il batterista Sergio Conti. Poi si aprì la strada europea: in Olanda, Danimarca, Austria e Germania, Vallisneri maturò un formidabile mestiere. Quando ritornò a Trieste, l’epoca d’oro dei locali stava tramontando e per i musicisti professionisti la scelta obbligata era quella delle ``serate''. Egli passò con facilità dalla tastiera della fisarmonica a quella del pianoforte. Nel ruolo di accompagnatore rappresentava una sicura garanzia per tutti i jazzisti italiani e stranieri che approdavano a Trieste ed avevano bisogno di un tappeto armonico di classe. E gli insegnamenti del ``maestro'' Vallisneri aprirono a molti, giovani e meno giovani, le porte dell’improvvisazione.

Il suo mondo era quello del jazz e della ``nobile’’ musica leggera. Quando modulava al piano una canzone di Tenco o uno standard americano sentivate subito il suo raffinato ``gusto'' nella sostituzione degli accordi e degli abbellimenti del tema. E non esisteva pagina di musica classica di cui non fiutasse la qualità della scrittura ed i pregi poetici. S’inchinava davanti ai giganti del pianismo contemporaneo ammirando con la gioia di un bambino il suono e la velocità di Horowitz, la perfezione di Michelangeli, la bravura polifonica di Gould. Quanti splendidi momenti passati con lui a parlare del vulcanico stile di Oscar Peterson, del virtuosismo di Gonzalo Rubalcaba, della genialità armonica di Bill Evans. Continuando a ripetergli che in quest’angolo di mondo la ``destra'' di Franco Vallisneri non aveva pari.

(Sergio Cimarosti)


Recensione di Giulio Viozzi (Rai), 24/5/1956

Per quanto riguarda il quartetto di Franco Vallisneri, abbiamo la possibilità di aggiungere altre osservazioni. Anzitutto quelle riguardanti la formazione strumentale: niente pianoforte ma fisarmonica accanto alla tromba, al contrabbasso, alla batteria. E fisarmonica non limitata all’armonia o alle classiche entrate alternate, ma elevata a una funzione melodica, ritmica e polifonica totale, vero centro musicale del complesso. Sostanzialmente in sonorità ridotta la funzione dell’organo jazz, con il correttivo ritmico del contrabbasso, della batteria e in alternativa melodico-timbrica con la tromba. È ovvio che per un rendimento efficace ed equilibrato occorre un fisarmonicista di gran classe e uno strumento dalle possibilità foniche il più possibile adeguate al genere; per di più occorre una mente creativa sviluppatissima, in quanto si sa che il jazz è insieme composizione ed esecuzione, concertazione ed improvvisazione, il tutto naturalmente unito a quello spirito ritmico che è alla base del jazz.

A tutte queste esigenze il giovane Vallisneri ha dimostrato ieri di corrispondere in pieno: con vero godimento abbiamo ascoltato i frutti della sua fantasia vivacissima, del suo ordine mentale inequivocabile, della sua tecnica armonica e contrappuntistica. A differenza di molti altri giovani esecutori italiani preoccupati di somigliare all’una o all’altra grande firma del jazz americano, di Franco Vallisneri abbiamo rilevato l’impronta di una personalità netta ed inconfondibile, capace di reazioni tutte proprie; ovviamente sulla base rimane l’esperienza originaria americana. Ma a questa, nello stile e negli arrangiamenti di Vallisneri si sovrappongono, in parte istintivi ed in parte studiati, i dati della cultura europea, ampiamente riconoscibili nel modo di armonizzare in certi politonalismi che ricordano Milhaud,  Hindemith e in certe ritmiche in chiara derivazione orientale. Per di più traspare una cantabilità aperta e solare di essenza tipicamente italiana; dunque nello stile di Vallisneri, ci sembra di vedere il primo segno di jazz europeo, o italiano, perlomeno che, anche se può avere degli addentellati con certi tipi di ``cool jazz'' californiano pure influenzato dalla classicità contemporanea, propone una decisa autonomia di linguaggio. 


Concerto per Franco

Il 2 marzo 1996 ha avuto luogo al Teatro Miela di Trieste un concerto in omaggio di Franco Vallisneri. La serata, ripresa interamente dalla RAI, ha avuto come protagonisti tutti gli amici e colleghi di Franco, e in particolare Sergio Conti, Franco Cergoli, e Franco Russo. Come affettuoso tributo allo scomparso, è tornata in vita per una sera la Trieste ``Americana'' degli anni cinquanta.